Un contributo alla memoria del compianto Prof. Antonio Liserre

Lunedì scorso, 24 novembre, nella Cappella del Sacro Cuore della nostra Università è stata celebrata una Messa in suffragio  e ricordo di Antonio Liserre, Agostino degli anni 1957-1961 e morto a Milano il 18 aprile di quest’anno. Ha celebrato S.E. Mons. Claudio Giuliodori, Assistente Generale dell’Università e, con i familiari, erano presenti numerosi docenti ed amici di Antonio. Al termine della Messa, i due Presidi delle Facoltà nelle quali Liserre ha insegnato (Bodega per Economia e Forti per Giurisprudenza) hanno detto parole di ricordo. Anche Enzo Balboni, per sedici anni direttore del Dipartimento di Diritto privato e pubblico dell’economia, al quale diede vita insieme ai colleghi Floridia, Mazzoni e Napoli, nonché amico affettuoso del compianto, ha pronunciato un breve ricordo che volentieri pubblichiamo.

 

RICORDO DI ANTONIO (scarica pdf)

Cappella del Sacro Cuore, Milano, 24/11/2014

Se Antonio ci guarda dal Cielo… e sono sicuro che è così, sorride con la sua abituale bonomia ed autoironia, ma sono certo (scio enim cui credidi, et certus sum) – come ci diceva don Mario Giavazzi quando ci spiegava il senso dell’immagine del Cristo risorto di Piero della Francesca che volle sul cartoncino stampato in suo ricordo) – sono certo che è lieto di vederci qui, convocati dall’amicizia per far memoria di un uomo buono, ottimo docente, bravo studioso, brillante ed onesto avvocato. Oggi, però, non è luogo né tempo per celebrazioni, onoranze scientifiche, convegni in pompa magna. Mi pare quasi di sentirlo: “Un ricordo va bene, ma soprattutto senza uno zelo eccessivo”. Questo è, dunque, solo un momento di riflessione e memoria, sperando che risulti appropriato rispetto ad una motivazione che può apparire minore, ed anzi minima, ma ha l’ambizione di seguire, sia pur rapidamente, un certo percorso: quello che si snoda a partire dal titolo della mia nota che a molti tra voi potrà apparire curiosa: “Insegnare all’Università Cattolica: un mestiere diverso”. Tonino è partito dalla solatia e mediterranea Trani per venire a studiare e a faticare nella fredda e allora nebbiosa Milano nel novembre 1957 e ci ha lasciato dopo 57 anni nel venerdì santo del 2014. Sua mamma lo aveva provveduto di un pesante, lanoso e rigido cappotto postbellico, che infagottava la sua figura alta, snella, elegante. Il suo habitat naturale è stato il collegio Augustinianum, nel quale arrivò con una sete di imparare e di progredire che si rivelò fin dalla prima sera – come mi ha confidato il suo compagno di studi Domenico Pazzini, quando a cena, subito, si lamentò del suo insegnate di italiano di liceo che “non sapeva spiegare e si limitava a leggere il libro di testo”. Si è laureato a luglio del 4° anno, come facevano soltanto i migliori tra i bravi agostini, ma non si è mai illustrato ad pompam per questo: “Era normale e giusto fare così”, diceva. Non faccio biografia e salterò tutto il resto, peraltro noto ai molti amici stasera qui convenuti e indugerò soltanto su un unico particolare.
Il piccolo segno distintivo cui accenno richiama la presenza e il magistero morale, scientifico ed umano, di un nostro comune maestro, Umberto Pototschnig, che a Tonino voleva bene, essendone ampiamente ricambiato, in ciò unito all’affetto di Maria Grazia Liserre. Non credo che Antonio abbia mai avuto modo di approfondire un saggio scientifico di Umberto, intitolato: “Insegnare all’Università, un mestiere diverso” nel quale Pototschnig – che parlava in quell’occasione ad un Convegno di costituzionalisti, si era prefisso di motivare la portata innovativa 2 degli art. 33 e 34 Cost. e dunque della speciale libertà e responsabilità connessa all’insegnamento, in specie quello svolto all’Università, e dunque con l’ineludibile impegno sia di un’istruzione di livello superiore sia di una tensione continua e vocazione per la ricerca scientifica. Ed anche Liserre come tutti gli agostiniani dei secondi e terz’anni aveva ricevuto nel corso dell’estate prima della laurea, nel 1960, dal Direttore del Collegio una lettera collettiva, ma indirizzata personalmente a ciascuno di loro, che si concludeva così:< Vorrei incoraggiarvi allora, a non sciupare del tempo, a prendere consapevolezza – anche tramite questo periodo di vacanza – di ciò che avete pensato e a predisporre voi stessi in modo da vivere” l’avventura del pensare.” nel modo più ricco possibile >. Aggiungo, adesso, un secondo elemento con quale , tuttavia, non vorrei dare di lui l’immagine dell’osservante cattolico fervoroso (o di un “paolotto” come si dice in dialetto ambrosiano) ma Liserre – anche se lo custodiva per sé – ebbe vivo il senso di cosa volesse dire il fatto di insegnare all’ Università e in un Ateneo denominato – non per caso o convenienza – “cattolico”. Mi piace citare solo due episodi, forse piccoli piccoli, ma a mio avviso significanti. Partecipammo – c’ero anch’io e diversi altri, sull’onda anche emozionale del rinnovamento post conciliare – ad alcune declinazioni coraggiose dell’aggiornamento che avrebbe dovuto intervenire, anzi fiorire, dentro l’Università cattolica, almeno a due gruppi di studio guidati dagli Assistenti generali del tempo: monsignor Volta, sul tema dell’educazione alla legalità e monsignor Ghidelli sul tema specifico del rinnovamento dell’Università a partire dalla Costituzione apostolica Ex Corde Ecclesiae. Frutto di quell’impegno furono due documenti – tra i tanti – che analizzavano, comparavano, progettavano ed auspicavano…, ma sono rimasti lì.
Il nostro impegno c’era e si rendeva visibile e spendibile perché si rifaceva alla radice nata e cresciuta in Augustinianum, che si era irrobustita nella nostra ragione e nel nostro cuore. Ne trovo traccia in questa citazione con la quale voglio prendere commiato da Antonio, accennando ad un’avventura culturale, scientifica ed umana che ponemmo alla base del nostro programma di fondazione del Dipartimento di Diritto Privato e Pubblico dell’Economia. Forse anche qui c’è una risposta, forse modesta, a quello stimolo verso “la stupenda e insostituibile avventura del pensare” che aveva raccolto dal “Poto”. Organizzammo nel 1988, nel quarantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Carta fondamentale, un Convegno sulla Costituzione economica e i suoi effetti. Liserre concluse la sua relazione dedicata a “Impresa pubblica tra socialità e profitto” con un ragionamento che dimostra, senza sbandierarli, l’onore, il senso delle misura e l’orgoglio di chi ha avuto la fortuna di studiare prima e di insegnare poi nella nostra Università: “A dispetto di tanti fraintendimenti è dunque opportuno ribadire che non c’è alcuna antinomia tra le ragioni della economia e quelle dell’equità e della giustizia; coltivare la speranza di dare un’ “anima” agli affari, se così si può dire, può essere espressione di un’ingenua utopia o di una condotta eticamente doverosa: certo è che, se di sogno si tratta, è un sogno che ha sorretto la coscienza lucida dei Dossetti e dei Lazzati che, dalla tradizione propria del magistero di questa Università, hanno tratto ispirazione per credere ad un ideale di democrazia economica e segnarne, con il loro contributo, la nostra Costituzione”. E’ dunque una memoria viva e una fiaccola accesa quella che Liserre e gli altri della sua generazione lasciano a chi, oggi giovane e capace, ha il dovere della speranza e dell’azione.
Da ultimo, una nota personale che non ho difficoltà a render pubblica perché essa è al tempo stesso rivelatrice e consolatoria. Nell’ultima telefonata che ci siamo scambiati nel marzo di quest’anno, a me che cercavo scorciatoie e cincischiavo parole goffamente ottimistiche sul suo stato di salute replicò in modo sobrio e secco: “Del resto, io ho avuto una vita lunga e felice”. Come a dire: la mia è stata una buona corsa che è giunta al termine; adesso tocca a voi.

Enzo Balboni

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